Turnover del personale: lamentarsi non basta, serve fare (con metodo)

La quasi totalità degli imprenditori con cui parlo, negli ultimi tempi, condividono una preoccupazione: sperimentano nelle loro aziende una tendenza, accentuatasi dopo due anni di pandemia, all’aumento del turnover del personale. Un fenomeno che negli Stati Uniti è stato definito Great Resignation – tradotto in italiano con “grandi dimissioni”. Negli Usa nell’aprile del 2021 il numero di persone che hanno lasciato volontariamente il posto di lavoro ha superato i 4 milioni, restando su quel livello per oltre un anno, come riporta tra gli altri Business Insider.

 

I numeri delle “grandi dimissioni” in Italia

In Italia, nei primi sei mesi del 2022, 1 milione e 80 mila persone si sono dimesse, con un aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021, come rilevato dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps riportati dal Corriere della Sera. In parte si tratta di un recupero fisiologico dopo il “congelamento” del mercato del lavoro dovuto al Covid. Ma in parte si tratta di un fenomeno nuovo, dovuto a una molteplicità di ragioni sociali, economiche ed esistenziali, tra cui la ricerca di un’occupazione più aderente alle proprie aspirazioni.

Per le aziende si tratta di un problema di retention: perdere un dipendente significa lasciare andare un patrimonio di competenze e di esperienze e mettersi alla ricerca di un sostituto che deve essere adeguatamente formato e inserito, con dispendio di tempo e denaro. Tuttavia, noto che spesso questa preoccupazione rimane a livello di dichiarazione e raramente viene declinata in quello che gli psicologi chiamano comportamento pianificato o azione ragionata. Un po’ come quando ci si lamenta che si dovrebbe dimagrire o smettere di fumare, ma poi non si fa nulla di concreto per cambiare i propri comportamenti.

 

Gestire in modo scientifico il “ciclo di vita del dipendente”

Spesso quando ascolto questi discorsi penso: “Fate qualcosa, basta lamentarvi. E fatelo con metodo, non con iniziative cadute dal cielo”. Le aziende dovrebbero abituarsi a ragionare per processi e con un problem solving strutturato anche nella gestione delle risorse umane, non solo nella gestione delle operazioni, ammesso che in quell’ambito lo stiano facendo (sono ottimista). Qual è la dimensione del fenomeno delle dimissioni, e quale dovrebbe essere la dimensione accettabile per l’azienda? Quali sono le cause radice e le loro priorità? Quali le contromisure pianificate? Quanti benefici stanno portando? Quali indicatori vengono misurati nei singoli stati del “ciclo di vita del dipendente”, dall’assunzione alle dimissioni? Dovrebbero essere queste le domande giuste da porsi. Logica, numeri, metodo.

Già sento le critiche: “Le persone non sono pezzi come quelli che si producono in fabbrica”. Vero. Le persone hanno motivazioni, emozioni, comportamenti che i “pezzi” non hanno. Sono molto di più. Ciò non significa che anche nell’ambito delle risorse umane non si possa misurare e agire in base ai numeri. Certo, l’approccio nelle risorse umane deve essere più complesso, culturalmente e storicamente situato, ci sono altri aspetti che hanno poco a che fare con un approccio quantitativo alla ricerca. Ma molto si può fare prima di considerazioni così evolute. In fondo è da questa aspirazione che nacque alla fine dell‘800 la psicologia, no? Usare il metodo scientifico anche nella dimensione umana, per uscire da speculazioni introspettive che poco possono offrire in termini di intervento concreto, in grado di incidere sulla realtà per modificarla.

 

L’approccio Inproov

E quindi, come si può affrontare con metodo il problema del turnover in azienda? Una strategia efficace non può prescindere da alcune azioni quali:

  • misurare il fenomeno nel tempo;
  • individuare le motivazioni che sono alla base delle dimissioni;
  • dopo aver definito la causa prioritaria, progettare e attuare delle contromisure;
  • misurare l’efficacia delle contromisure.

La buona notizia è che dove questo approccio non viene usato, molto si può fare con poco sforzo. E i benefici arrivano in tempi rapidi.

Walter Bessega

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